SOCIAL RESPONSIBILITY

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Due scatti dell’attuale campagna a/i di Valentino

La cronaca li scova quotidianamente e li rivela. Decine e decine di laboratori clandestini dove lavorano bambini, immigrati che vi mangiano e dormono pagati come schiavi. E poi opifici derelitti, crolli, intossicazioni, morti sul lavoro. Non solo all’estero ma anche in Italia o nel cuore dell’Europa. Il tutto non per produrre solo falsi ma anche rinomate griffe. Che regolarmente davanti a questi bollettini di guerra, emettono comunicati, prendono le distanze, protestano in un balletto ipocrita che racconta come uno dei principali problemi che la moda, non solo in campo etico, si trova ad affrontare è quello dei terzisti. Vale a dire il lavoro delle fabbriche delocalizzate cui commissionano gli ordini.

Molti marchi, per correre ai ripari, stanno introducendo nella mission aziendale anche elementi di comportamento etico con cui intendono vincolare anche i loro committenti. Ecco allora un colosso come Tommy Hilfiger introdurre fra le note aziendali anche l’elemento della “social responsibility”, la responsabilità sociale intesa non tanto in senso legale ma in senso morale. Un concetto che impone nel posto di lavoro rispetto per i diritti sociali e umani intesi nel senso più ampio del termine: niente sfruttamento umano, niente lavori forzati, niente cottimo, divieto assoluto di utilizzare manodopera infantile.

In Italia, paese che si sta lentamente risvegliando dalla sua inerzia in materia, spiccano le iniziative di Valentino, che si è dotato per statuto di un codice etico che permea tutti gli aspetti della vita aziendale, si schiera contro il lavoro schiavistico e definisce in maniera esaustiva il comportamento aziendale in merito alla gestione dei rifiuti e delle acque di reflusso. Un codice che vincola anche i fornitori a tenere comportamenti morali, proprio per evitare che l’azienda possa finire coinvolta in casi di malaffare e di comportamenti non limpidi. Una particolare attenzione nello statuto societario è dedicata alla deforestazione dell’Amazonia. Così tutto il pellame usato dalla holding è scelto fra quelli che non derivano da allevamenti nati dalla distruzione di quell’ambiente, così come è stata bandita dalla fabbricazione qualsiasi fibra nata dallo stesso procedimento. Luisa Ciuni

Everyday we hear news about this. Dozens of clandestine laboratories where children work, and immigrants eat and sleep there, paid as slaves. And derelict factories, collapses, intoxications, deaths. Not only abroad, but also in Italy or in the heart of Europe. And not only for the production of fakes but even of well known brands. That regularly, at these war bulletins, release announcements, distance themselves, declare, in a deceiver dance that tells how one of the main problems that fashion, not only in ethical field, has to face is sub-contractors. That is to say the work in external factories to which they commission the orders. A lot of brands, to make repairs, are introducing in their mission statement points of ethical behaviour that bind also their sub-contractors. And that’s why a giant like Tommy Hilfiger has introduced the point of “social responsibility”. A concept that impose the respect for social and human rights in the broadest sense: no exploitation, no servitude, no piecework, no child labour. In Italy, country that is slowly awakening from its inactivity on the subject, Valentino stands out, with its ethical code that involves all the sides of its business, lines up against slavery and completely defines the company’s behaviour in regard to the management of waste. A code that binds also the suppliers, to avoid shady events. Particular attention is payed to the deforestation of Amazonia. So all the leather used by the holding is chosen among those not derived from breeding farms risen up on deforested areas, as well as every other fabric derived from the same procedure has been banned. Luisa Ciuni

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