SPORTWEEK 21 NOVEMBRE 2015

IO DONNA SCHEMA LIBERO MARTE IN PELLICCIA

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Mars in furs. Be realistic. A man in furs is a pop-star habit. It’s not strange if they’re worn by Elton John. Or if it’s an artist, or an actor, that shows off an animalier blazer. The fur on a man passes by (almost) unnoticed when we see it worn by show-business men, artists, trendsetters or eccentrics intellectuals. In the 70s it was in fashion, and was worn by “common” (meaning unknown) men. But they dared, at most, to wear lined shearling or coats with fur lapels. Today it’s an “aesthetic challenge that’s worth trying” (as written by the colleague Michele Ciavarella on Style). Is it right? Maybe. My point of view: if we’re talking about eco-fur, ok, let’s try. Or rather: you try. If it’s real fur, of any kind of animal, I choose the Facebook option for those who don’t want to join those annoying group chats: “Leave the conversation”. Rock Hudson on the set of the movie Lover Come Back by Delbert Mann, 1961.

 

 

SETTE MAGAZINE EN VOGUE IL CAPPELLO VINCENTE PER TUTTE LE STAGIONI

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The best hat for every season. … Continua a leggere →

PLAYFUL LUXURY

FENDI

Zaino, Fendi f/w 2015

Lo zaino secondo Fendi, una perfetta sintesi di moda, lusso e praticità: tricolore, in cavallino e pelliccia di capra, con tre scompartimenti chiusi con zip e tasche laterali. Non manca l’accento ludico, rappresentato dal charm in montone a forma di mezza mela. A cura di Angelica Pianarosa, Foto Michele Gastl.

The backpack according to Fendi, … Continua a leggere →

LIU BOLIN – L’ARTE DEL MIMETIZZARSI

Design - Fashion courtesy BoxArt Gallery

 

Liu Bolin è un artista cinese che crea opere molto interessanti combinando Arte, fotografia e protesta. Nelle sue performance di mimetismo, l’artista si fa ricoprire di vernice per dissolversi perfettamente nello sfondo delle ambientazioni delle sue fotografie. Per creare queste opere l’artista spesso sceglie luoghi in qualche maniera collegati con i simboli della Rivoluzione Culturale cinese, o che evocano gli immensi cambiamenti avvenuti nel paese dopo la caduta del regime di Mao Zedong.

Il team di Kooness.com ha intervistato Liu Bolin a proposito del suo ultimo lavoro “Migrants”, dove l’artista pone l’attenzione sul’attuale situazione dei flussi migratori e sui rifugiati.

 Nonostante la giovane età hai un grande percorso artistico alle spalle, ci racconteresti le varie fasi della tua attività di artista e come sei approdato all’ultimo lavoro sui migranti? Ho cominciato a realizzare le opere fotografiche, confluite poi in nella serie “Hiding in the City” nel 2005. Fin dall’inizio ho previsto che il mio corpo venisse colorato con gli stessi toni e sfondi dell’ambiente circostante, in modo che, da una certa angolazione, scomparisse nel panorama alle mie spalle. L’impulso primigenio è stato la ribellione nei confronti delle autorità, che stavano demolendo il mio studio. E’ nato così il primo nucleo di quella che sarebbe divenuta una serie. La rabbia che provavo mi ha spinto a mimetizzarmi tra le macerie del villaggio e a diventarne parte. Nel silenzio credo di essere riuscito a dire molto di più che con azioni rumorose. Da quell’evento tragico sono iniziate le serie dei miei lavori in cui mi nascondo nelle città. Poco dopo mi sono deciso a proseguire in quella ricerca, che descriveva la mia vita, il mio destino, ma aveva anche tanti punti in comune con la vita degli altri. Constatavo tra la gente che molti dei dubbi e degli interrogativi che mi ponevo io, erano condivisi da tutto il popolo cinese. E non solo. Successivamente, quando ho avuto l’opportunità di viaggiare all’estero per i miei progetti, mi è capitato di visitare tra i primi luoghi l’Italia, dove ho ritrovato, sorprendentemente, nella quotidianità di questo paese, le medesime incertezze e disarmonie. Attraverso le mie opere io cerco perciò di sviscerare queste contraddizioni dell’uomo contemporaneo, e di indagare nel profondo il rapporto tra la civiltà creata dall’uomo e l’uomo stesso. Il progetto dal titolo “Hiding in Italy” nasce dunque come declinazione italiana della più ampia serie di scatti di performance “Hiding in the city”. Il mio recente lavoro “Migrants”, sempre in collaborazione con Boxart, la galleria italiana che mi rappresenta, ha come obiettivo una riflessione sui flussi migratori. Non è un tema facile, esprime il costante bisogno umano di migliorare la propria condizione.

Le tue opere sono il risultato di un lungo processo di ricerca e organizzazione, ci potresti descrivere il lavoro che c’è dietro i tuoi scatti e quante persone sono coinvolte? Ho fatto diversi sopralluoghi tra Lampedusa e Catania. Poi, attraverso il valido aiuto della Comunità di Sant’Egidio di Catania siamo riusciti a coinvolgere decine di giovani migranti dal C.A.R.A. di Mineo e da altre strutture di Bronte e Giarre. Tutti provengono dall’Africa, da paesi diversi: Nigeria, Senegal, Burkina Faso e altri. Grazie a questa collaborazione ho deciso di ospitare più persone nello scatto: quattro opere sulle sei eseguite appartengono dunque all’evoluzione del mio lavoro, ovvero alla serie “Target” (“Bersaglio”), in cui scompaiono più figure nello sfondo. Ho iniziato “Target” tre anni fa con l’opera “Cancer Village”, per denunciare che lo sviluppo economico in Cina ha come risvolto negativo l’insorgenza di gravi malattie, a causa di un ambiente nocivo per i cittadini. Stavolta, in Sicilia, ho voluto affrontare i problemi dei migranti africani. Le tensioni politiche hanno provocato dei flussi migratori tra Africa ed Europa e il conseguente fenomeno dei rifugiati. Questo argomento a me interessa molto, è una vera tragedia umanitaria. Attraverso lo sfondo dei miei lavori in Sicilia, in particolare i barconi al Porto di Catania, voglio sensibilizzare maggiormente la gente su questo problema.

 Negli ultimi anni il fenomeno dell’online è entrato a fare parte di molti settori, ultimamente anche il mondo dell’arte contemporanea sta vedendo nascere molti fenomeni volti alla diffusione e promozione di questo mondo, cosa ne pensi? Io stesso sto lavorando ad una nuova serie che si intitola “Hacker” in cui sostituisco sui siti governativi le foto di luoghi-simbolo del potere con le medesime immagini, in cui però all’interno sono nascosto io. La mia vuole essere una riflessione sulla comunicazione contemporanea; nell’era di una intensa virtualizzazione, voglio esplorare ciò che rimane reale. Infatti, in questa serie non sono più l’uomo invisibile, ma tengo in mano una lampadina, simbolo dell’ingegno e del pensiero umano. Siamo all’inizio di una nuova era, l’Età del network. Io cerco di essere un artista-informatore che cerca si aumentare la consapevolezza delle persone circa il potere delle immagini. C’è sempre un significato più profondo di un’immagine, che mette in discussione l’anima umana e lo spirito. In questa nuova serie sfido il potere delle immagini cambiando quelle originali. E’ un tentativo di iniziare una guerra contro le immagini.

Scopri le opere di Liu Bolin presso la Galleria Boxart qui

LIU BOLIN – THE ART OF CAMOUFLAGE

Liu Bolin is a Chinese artist that creates compelling works combining Performance Art, photography, and protest. In his Camouflage Performance works, … Continua a leggere →