ETICAMENTE

ITALIAN CRAFTMANSHIP

Una fase della produzione delle scarpe Ferragamo
Quanto vale la manualità di un essere umano? Quanto la capacità di un artigiano fa – o non fa – ai fini del costo di un prodotto? Il problema che si apre in questo caso è uno di quelli centrali ai fini etici perché la mano non solo è la base della differenza fra una cosa e un altra, non è solo una delle poche armi rimaste contro la massificazione del gusto. É anche e soprattutto il punto di non ritorno fra un concetto occidentale avanzato di lavoro (fornito di tutele, diritti e giusto guadagno) e il suo parente povero diffuso nei paesi in via di sviluppo. Un prodotto etico è un oggetto che rispetta il costo del lavoro, la proprietà intellettuale, le condizioni umane dei luoghi in cui questo si svolge e tutto quello che ciò significa. E, quindi anche un forte no (forse il più forte) allo sfruttamento minorile e umano che avviene in certi paesi o in alcuni capannoni ben diffusi anche nella penisola. Non è necessariamente un oggetto che costa poco, ma un qualcosa che offre un valore a secondo della spesa che richiede. La capacità artigiana è stata una delle basi del boom del made in Italy. Oggi la ritroviamo intatta in un marchio come Salvatore Ferragamo e nella costruzione della calzatura lavorata a tramezza, un complesso di costruzione della scarpa che consta di 320 fasi distinte e oltre 4 ore di lavorazione manuale. Il fine è la perfetta tenuta della scarpa coniugata con una consistenza ottimale della suola. Un procedimento costoso che ha radici antiche e che può essere scimmiottato dal punto di vista formale ma non sostanziale. Se quindi vogliamo parlare di prodotto etico, dobbiamo accettare anche che lo sia un manufatto costoso ma realizzato in condizioni di libertà democratiche. Un prezzo basso può sembrare democratico e ma spesso è solo il risultato dello sfruttamento di un essere umano costretto a lavorare in un luogo insalubre per una paga di fame. Luisa Ciuni
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GOOD VS. ETHICAL FASHION

Il fondatore di Cruciani, Luca Caprai (ph. credits: Maria Teresa Furnari)
Moda buona e moda etica: capita spesso che questi elementi vengano  confusi e che si considerino moralmente perfette tutte quelle iniziative volte a fare produrre nicchie di prodotto in zone decentrate del mondo per dare lavoro al villaggio tale o al gruppo etnico talaltro. Si tratta spesso di cose eccellenti e ottimamente ispirate che, tuttavia, non smuovono di un centimetro il mondo produttivo del fashion che in certe zone del mondo è quando di più iniquo esista. Una sorta di pannicello caldo che consente per un periodo di non occuparsi più delle ingiustizie del settore fino al momento in cui arriva una nuova causa da caldeggiare.
Tuttavia si sta formando una corrente di pensiero sempre più forte che unisce le attività di sostegno ai paesi in difficoltà a quelle che, rispetto al buonismo, preferiscono conoscere, ad esempio, la filiera di un capo, la produzione salubre e remunerata oltre che tutelata dalla legge, la proprietà intellettuale e tutto quell’insieme di elementi che rendono diverso un prodotto «legale» italiano (o di un altra democrazia occidentale, ovviamente) rispetto alle produzioni corsare.
C’è da dire che ci sono marchi italiani che mixano con abilità tanto il buonismo che una più robusta etica. Fra gli altri e senza pretesa di completezza citiamo Cruciani. Questo marchio, infatti, sviluppa da tempo un’attività di charity attraverso degli appositi braccialetti di macramè (l’ultimo si chiama Lucky Star) molto fashion il cui ricavato va a organizzazioni per la cura dell’infanzia disagiata. A questo Cruciani unisce l’uso dei filati italiani e una cura particolare nella tintura dei capi da uomo, studiata per essere ecosostenibile. La tecnica  si chiama “Natural Stain”,  ed è un  processo attraverso il quale la colorazione del cashmere più pregiato, proveniente dalla Mongolia interna, avviene  attraverso l’utilizzo di bacche, erbe e radici. Colori delicati e non inquinanti. Una vittoria rispetto alla chimica pesante. Luisa Ciuni
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MODA ECOLOGICA

Una moda etica deve necessariamente imparare a convivere con le necessità del pianeta: non inquinare nei processi produttivi e attraverso i trasporti delle materie prime (per quanto possibile senza cadere nell’autarchia), rispettare i lavoratori e il diritto d’autore, non danneggiare il consumatore.
E non sono poche le aziende di grandi come di medie dimensioni che da qualche tempo stanno cercando di muoversi in questa direzione che, va detto, è più consona a una dimensione artigiana che ad una grande  fabbrica.

Un modello s/s 2015 di Eco Jeans Roy Roger’s

Tuttavia ci sono esempi di produzioni virtuose e di qualità come altri di dimensioni di massa. Così la Roy Roger’s riesce a proporre attraverso «The Eco Jeans Project» jeans maschili numerati, che vengono trattati con un lavaggio senza additivi chimici e con un ridotto consumo di acqua, oltre ad essere invecchiati attraverso trattamenti a impatto zero, come gli spruzzi a ghiaccio o gli interventi speciali laser. Una prassi che, qualora venisse estesa a tutti i jeans che si producono attualmente al mondo, potrebbe davvero fare la differenza in senso ecologico.

Alcune delle sneakers Santoni a km0

Cambiando settore notiamo anche nell’azienda calzaturiera Santoni una forte attenzione all’ambiente, che riguarda tutti i prodotti. Il cuoio è conciato con estratti vegetali e colorato manualmente con un processo lento e graduale. Chiaramente tutto questo costa, ma secondo il principio di comprare non a casaccio ma seguendo la norma del «value for money» abbiamo un oggetto fabbricato in maniera non invasiva che evita i danni delle tinture al piombo all’acquirente. Da poco la casa produce anche sneakers a kilometro 0. Per chi ama la moda ecologica. Luisa Ciuni

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VALUE FOR MONEY

Tre look f/w 14/15 di Ermenegildo Zegna Couture realizzati in Vicuna

Gli oggetti alla moda sono, per loro stessa natura, voluttuari. Non è necessario averli. Prova ne sia, infatti, che decine di esperti di marketing lavorino da anni negli uffici nel tentativo, spesso riuscito, di indurre nel consumatore i piu strani bisogni. Resta quindi un fenomeno da commentare l’arrivo sul mercato di un grande quantitativo di cashmere a buon mercato. Golf e altra maglieria a prezzi di affezione che molti acquistano con orgoglio confrontando quanto pagato con le etichette delle grandi marche. E non li scoraggia l’idea che nel capo acquistato, di cashmere, possa essercene molto poco. Ignorano il dilemma. Un bisogno indotto molto ben congegnato, visto che altri capi di lana altrettanto buona tengono ugualmente caldo. E costano meno. Da qui, comunque, una domanda: qual è il prezzo giusto in questo caso, quello elevato o quello friendly? Il problema è arduo e investe anche elementi di etica. Se assumiamo come base il concetto che è etico il principio dell’equo rapporto value for money, vediamo subito che il nostro cashmere “simpatico” nasconde, a volte, delle serie fregature. Il cashmere infatti è una lana e ne esistono di varie qualità. Ad un prezzo basso spesso non corrisponde altro che un golf fatto con gli scarti: materiale da buttare per il quale anche un costo ridotto è alto. Ed ecco maglie che si slabbrano, che fanno i pallini, che durano poco a fronte della lunga vita del cashmere di qualità. Paradossalmente il prezzo basso nasconde una fregatura (debite differenze rispettate, ovviamente) mentre quello alto “può” indicare di caso in caso una indubbia qualità migliore. E  visto che il cashmere non è obbligatorio non si capisce perchè aiutare lo smaltimento dei cascami, per giunta vestiti da oggetto di lusso. Così il costosissimo cashmere Loro Piana ha una spiegazione nella sua provenienza da cuccioli di capra hircus, un vello leggerissimo che scarseggia in natura. Di baby cashmere se ne ottengono 30 grammi a capretto, da qui il costo che cresce in esponente a seconda della quantità utilizzata. Altrettanto preziosa è la materia prima Zegna che ha un piano speciale per la vicuna, altro materiale raro di cui non si parla abbastanza. La vicuna è un animale andino da cui si ricava una lana rara. Gli animali erano in via di estinzione. Il Gruppo Zegna è diventato socio del Consorzio che per primo è stato autorizzato alla commercializzazione della Fibra di Vicuna sotto il controllo del CITES (Convenzione Internazionale per il Commercio delle Specie Minacciate di Estinzione), che rappresenta una risorsa fondamentale per la popolazione delle Ande. Gli animali sono stati salvati dall’estinzione e il raro e prezioso tessuto è diventato uno dei vanti del made in Italy. Value for money, quindi. E due casi da ricordare di business della moda ecosostenibile. Luisa Ciuni

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ETICA E BELLEZZA

Brunello Cucinelli in una foto di Giovanni Gastel, Max Aprile 2011
Quando si parla di moda etica, vengono spesso in mente prodotti dai colori slavati e tagliati alla buona ma moralmente ineccepibili, eseguiti da aziende finanziate dal microcredito femminile in qualche parte avvilita del mondo toccata dalla bontà di uno o più marchi. E salvata.
Questo, però è un approccio di apprezzabile buonismo che non risolve alla base la domanda per eccellenza. E cioè: l’oggetto vale effettivamente la cifra che è richiesta in cambio? La materia prima, il design, il costo del lavoro, la proprietà intellettuale sono effettivamente ripagate, assieme al giusto profitto dell’imprenditore o ci stanno truffando se non peggio? A queste domande deve rispondere un’etica della moda che voglia essere autentica e capace di dirimere i problemi che l’enorme espansione del fashion ha posto, delocalizzando le produzioni, predando l’originalità intellettuale, portando i prodotti a prezzi bassissimi. Peccato che a pagarli sia troppo spesso un lavorante bambino. O il giovane designer che si vede rubati lavoro e idee in cambio dello stipendio. Il vero buon prodotto ha tutto da guadagnare se segue le linee etiche. E se è in grado di giustificare l’esborso che richiede. Ne deriva che il meglio dei prodotti italiani a sua volta ne tragga vantaggio, specie nell’ottica di una giustificazione della spesa. Nella moda maschile la qualità della materia prima è percepibile in modo più immediato rispetto a quella femminile. E le trecce di un golf fatte a mano in cachemire di prima scelta, le calature delle maniche, le rifiniture del capo rendono più o meno etico il “money for value” dell’acquirente. Cucinelli si fa un vanto della sua maglieria hand made nelle campagne italiane, della qualità complessiva del suo prodotto. Arriva persino ad una redistribuzione dei guadagni con la sua manovalanza. E se il tempo dirà dove arriverà questo seguace di Olivetti, intanto un risultato lo ha raggiunto: fare vedere che etica e bellezza spesso coincidono. Luisa Ciuni
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