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DAL CINEMA ALLA MODA. E VICEVERSA?

E’ senza dubbio intenso, ma forse non equamente biunivoco, il rapporto tra moda e cinema. Se è vero che quest’ultimo fornisce sin dalla sua nascita modelli di eleganza al maschile in grande profusione, non è altrettanto facile che la settima arte attinga con immediatezza al vestire della realtà per trasporlo poi con successo sotto i riflettori. Per una ragione ben precisa: sul set occorrono sempre costumi, non abiti, al di là di quella che può essere l’ambientazione storica del film. Costumi che si prestino a rendere un determinato effetto scenico, quasi mai intrinseco al capo “normale” di abbigliamento. Il discorso è generale e comporta le dovute, riuscitissime eccezioni, tra le quali è doveroso ricordare “Gli Intoccabili” di Brian de Palma, così come “A Single Man” di Tom Ford. Ma non dimentichiamo che si sta parlando dello straordinario talento di Giorgio Armani  e del designer texano.

In direzione opposta, il principio appare totalmente differente. Ferme restando alcune imprescindibili figure di riferimento – Edoardo VII, il Duca di Windsor, John Fitzgerald Kennedy, Gianni Agnelli e pochi altri “grandi” – dall’inizio del ventesimo secolo il cinema costituisce il serbatoio più prolifico e certamente meglio scandagliato per quanto riguarda le icone dello stile Uomo del nostro tempo. Non va escluso il piccolo schermo: è sufficiente pensare a “Mad Men” oppure alla recentissima “Hannibal” con lo strepitoso Mads Mikkelsen, entrambe serie cult per i contenuti, indubbiamente, ma forse ancor più per l’immagine.

Ai look  dei protagonisti  del cosiddetto “sogno collettivo” si richiama l’abbigliamento maschile di oggi, quello che sfila in passerella esattamente come quello che si vede per le strade. Semplificando al massimo, si può ragionare per tipologie di personaggi, per “characters”, come direbbero gli Anglosassoni. Il dandy, per esempio, con tanto di sotto-filone dandy/canaglia: chi non ha mai sognato di far proprio l’aplomb di Cary Grant, David Niven, Dirk Bogarde, William Powell, James Stewart, Leslie Howard, Douglas Fairbanks Jr., Clark Gable, Rock Hudson? Per pochi nomi che si possono menzionare, centinaia di altri finiscono per essere omessi. Senza scordare le varianti “nazionali”: da Vittorio De Sica – perfetto anche nelle più che mediocri produzioni dell’epoca dei “telefoni bianchi” – a Carlos Gardel – impeccabile in gessato e Borsalino nelle “peliculas tangueras” degli anni ’30 e ’40. E chi non ha mai guardato al bel tenebroso? Humphrey Bogart in “Casablanca” o ne “Il Falcone Maltese”, Joseph Cotten ne “Il Terzo Uomo”, Robert Mitchum in “Marlowe”.

E così via, di genere in genere. Dai giovani ribelli – James Dean, Montgomery Clift, Jean Paul Belmondo, Laurent Terzieff, Horst Buchholz – agli “eroi del popolo” – Jean Gabin in “Alba Tragica”, Massimo Girotti in “Ossessione”, Henry Fonda in “Furore”. Dagli esotisismi di Rodolfo Valentino ne “Il Figlio dello Sceicco” o di Gary Cooper in “Marocco” al fascino dell’uniforme di Harvey Keitel e Keith Carradine ne “I Duellanti”, di Farley Granger in “Senso”, degli innumerevoli conti Vronskij nelle altrettanto innumerevoli versioni di “Anna Karenina”. Tanti filoni cinematografici e televisivi, altrettanti modelli di riferimento a cui ispirarsi. I romantici, idealisti, esistenzialisti di “Jules et Jim” di Truffaut. I guerrieri invitti come Charlton Heston in “Ben Hur”, Russell Crowe ne “Il Gladiatore”, Bekim Fehmiu nella “Odissea”, eccellente sceneggiato RAI del 1968. Vogliamo trascurare il mix caraibico, sempre più che appealing, di sole, colore, mare e vita turbolenta? Da Al Pacino in “Scarface” a Don Johnson in “Miami Vice”, quest’ultimo da ricordarsi più per l’avvenenza,  per le giacche a spalla squadrata con le maniche rimboccate e le camicie e/o T-shirt sgargianti che non per il talento interpretativo… Giorgio Re

From cinema to fashion. And vice-versa? The link between fashion and cinema … Continua a leggere →

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