luchino visconti

LUCHINO VISCONTI: LO STILE ASSOLUTO. NON SOLO NEL CINEMA.

A sessanta anni dal debutto “Senso” – forse uno dei sui film più riusciti ed anche tra i più discussi, poiché fornisce – intaccando un tabù – un quadro del Risorgimento dipinto non con le sole tinte dell’epopea dei “buoni contro i cattivi”, è necessario riformulare una duplice domanda: chi tra i fashion designer di oggi non deve qualcosa al Conte Luchino Visconti di Modrone? Chi non ha mai guardato ai suoi film, ma anche alle sue regie teatrali, nell’ispirarsi? Avrebbe potuto essere egli stesso un grande couturier. Forse però si sarebbe sentito limitato nel creare “solo” abiti, per quanto splendidi.

La sua arte presupponeva un nutrimento che include musica, letteratura, conoscenza dell’arte e della storia. Cultura, in una parola. Come dovrebbe essere in verità –  e per fortuna talora lo è – per i grandi stilisti, quelli degni essere considerati tali. Certamente Visconti si può avvicinare ai creatori di moda di maggior talento: per il suo perfezionismo – tanto ossessivo quanto appassionato -, per la sua ricerca del “bello assoluto”, per la cura spesa in egual misura sia per un abito sontuoso, quello più adeguato a caratterizzare il personaggio e a definire il climax della scena, che per il dettaglio, non necessariamente legato all’abbigliamento: il candelabro, i tendaggi, le piante su un terrazzo.

FFR racconta di moda maschile. Ma è imprescindibile esimersi da uno sguardo alle infinite e sublimi letture che Visconti ha offerto del glamour al femminile. Da Alida Valli, appunto, in “Senso” a Claudia Cardinale ne “Il Gattopardo”, da Silvana Mangano in “Morte a Venezia” e in “Gruppo di famiglia in un interno”, da Romy Schneider in “Ludwig” – una Sissy matura, lontana mille miglia da quella zuccherosa delle pellicole di Ernst Marischka  – a Ingrid Thulin ne “La Caduta degli dei “.

Ma il talento inarrivabile del regista si esplica non solo nel rendere iconiche figure del mondo a cui apparteneva per nascita, censo, educazione e forma mentis. Giunge agli stessi risultati con le donne del popolo. Con una Clara Calamai abbrutita dalla vita in “Ossessione”, con la popolana Anna Magnani di “Bellissima” – intensa e sfolgorante  di dignità nel suo modesto tailleur nero -, con Annie Girardot prostituta che porta un banale trench direttamente sopra la sottoveste.

Assolutamente speculare è ciò che il “Conte Rosso” compie al maschile. Tant’è che la sua lezione si legge più forte ed affascinante che mai in non poche collezioni Uomo contemporanee. Anche in questo caso la panoramica sarebbe infinita, enciclopedica. Si pone la necessità di evidenziare i richiami viscontiani più espressivi delle ultime stagioni. I rimandi sono così numerosi da rendere indispensabile procedere in ordine sparso.

Il minimale blouson-camicia di Bottega Veneta con i profili in contrasto  richiama da vicino il pigiama che Marcello Mastroianni ha indossato da co-protagonista di “Morte di un commesso viaggiatore”, in scena al Teatro Eliseo nel 1951. Il blouson “motard” con gli inserti frontali animalier di Saint Laurent gioca di rimando con quello da teddy-boy nostrano, sfoggiato da Corrado Pani in “Rocco e i suoi fratelli”.

La camicia fitted con le tasche applicate e ridotte nelle dimensioni di Valentino è quella di Marcello Mastroianni ne “Lo Straniero”: straniero a tutti gli effetti, alla deriva in un mondo che non è il suo e che pure ama. Il dimesso dolce vita a coste di Alain Delon offre la sponda, non solo per la neutralità del colore, al prezioso girocollo a trecce di Malo. Dall’essenzialità all’ opulenza: la vestaglia dell’ormai perduto tenente Franz Mahler-Farley Granger di “Senso” rivela una foggia del tutto identica al coat etnico-tribale di Paul Smith.

Il cappotto asciutto total black di Diesel Black Gold, pur acceso da zip ed applicazioni, fa pensare alla severità da gentiluomo di altri tempi dei completi di Burt Lancaster ne “Il Gattopardo”. I broccati dannunziani “fin de siecle” delle vesti da camera di Giancarlo Giannini ne “L’innocente” ritornano, attualizzati, nelle giacche di Dolce & Gabbana. Esattamente come la “grandeur” decadente del mantello foderato di pelliccia di Helmut Berger in “Ludwig”, ripulita e più pacata, ma non per questo meno preziosa, nel cappotto full lenght di Dior Homme. E non vi è dubbio che lo straordinario messaggio di eleganza viscontiano – vero e proprio progetto di stile universale – si potrà leggere ancora a lungo. Per sempre, forse. Come la vera arte. Giorgio Re

 

Luchino Visconti: the absolute style. … Continua a leggere →