giovanni de ruvo

T COME TUXEDO

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A sinistra, scatto di Federico Miletto per The Men Issue, Styling Giovanni de Ruvo. A destra, scatto di streetstyle (fonte: Notsopopkulture).

 

L’alfabeto della Moda oggi chiama in causa la lettera T, per Tuxedo.

Prendere una coppetta da cocktail e riempirla di ghiaccio per raffreddarla. Riempire un secondo bicchiere di ghiaccio, poi aggiungere 3 cl di gin, 3 cl di dry vermut, 2,5 ml di maraschino, 1 ml di assenzio e 1 ml di orange bitters. Mescolare bene il tutto, poi filtrare nella coppetta da cocktail dopo averne rimosso il ghiaccio. Spremere leggermente una fettina di scorza di limone sopra il bicchiere, dopodiché guarnirlo con la stessa fetta a spirale e con una ciliegia da cocktail. Servire senza cannuccia.
In maniera alternativa si potrebbe persino raccontare così, la classe di un capo d’abbigliamento che ha fatto la storia dell’eleganza maschile: pochi ingredienti che mescolati bene insieme formano il Tuxedo cocktail…ma, questa, è un’altra storia.

Il Tuxedo, quello vero, nacque, come leggenda narra, al Tuxedo Club, in New Jersey, nel 1886: locale dove si incontravano tutti gli uomini eleganti del tempo, indossando abiti di alta sartoria fatti su misura dai sarti Henry Poole & Co.
Chiamato Tuxedo o Smoking, questa invenzione è ancora oggi contesa tra Americani ed Inglesi, che ne richiedono la patria potestà, considerato che fu indossato per la prima volta in occasioni ufficiali dal Duca di Windsor.
Inizialmente infatti era solamente la giacca che copriva l’abito del gentleman dall’odore del tabacco durante le fumate di sigaro nelle sale fumatori del tempo.

Venne sdoganato poi successivamente, ed indossato con fierezza e con delle regole ben precise: mai prima delle ore 18, fit perfetto, sartoriale, nero o blu notte, monopetto oppure doppiopetto, con camicia bianca e gemelli ai polsi, panciotto fasciante, papillon rigorosamente da annodare, e stringate nere lucide o slippers.

Il tuxedo per antonomasia va a braccetto con il personaggio – cinematografico – di James Bond: da Sean Connery, a Pierce Brosnan, Roger Moore, fino ad arrivare a Daniel Craig, abbiamo avuto carrellate infinite di uomini elegantissimi, abbigliati in modo impeccabile, spesso da nomi blasonati del mondo fashion, come Tom Ford.

Nella moda di oggi, vigono forse un po’ meno regole, meno restrizioni: via al colore, abbinamenti sgargianti, quasi sbagliati, da Gucci; total gold per Berluti; bianco, con stampe a righe quasi optical da Balmain; con revers a contrasto e con applicazioni di pietre, così come vediamo nella gallery che vi proponiamo di seguito dalle sfilate della spring/summer 2018.

Nello scatto realizzato appositamente per The Men Issue da Federico Miletto, vi proponiamo il tuxedo indossato nella versione classica, in nero ed elegante: abito in cotone misto seta con revers in raso, di Tagliatore by Pino Lerario, collezione spring/summer 18. Vi accostiamo un secondo scatto, di street style, in cui il modo di indossarlo è completamente rivisitato, diventando più casual ma cool allo stesso tempo: la giacca stessa è arricchita da ricami floreali, e abbinata a pantaloni sportivi con bande laterali, sneakers bianche e marsupio in pelle. Un modo di uscire dagli schemi, che forse farà rabbrividire i puristi, ma che porta una ventata di freschezza. Come del resto aveva fatto il Duca di Windsor a suo tempo. Giovanni de Ruvo

Gucci, spring/summer 18

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N COME NYLON

TMIA sinistra, scatto di Federico Miletto per The Men Issue, Styling Giovanni de Ruvo. A destra, scatto di Evaan Kheraj per Prospekt Supply.

L’alfabeto della Moda oggi chiama in causa la lettera N, per Nylon.

“Resistente come l’acciaio e delicato come una ragnatela”, è lo slogan che pubblicizzò questa fibra nel 1937.
Varie leggende accompagnano la nascita del nome Nylon.
La prima vede Nylon come acronimo di Now You Lose Old Nippon; perché dopo la seconda guerra mondiale, il Giappone impedì l’importazione della seta dalla Cina, utilizzata dagli Stati Uniti per i paracadute, i quali si dovettero ingegnare per creare un nuovo materiale, dandogli appunto questo nome.
Un’altra invece dice che il nome derivi dall’unione dei nomi New York e Londra, perché la fibra fu sviluppata proprio tra questi due luoghi, sempre per sopperire alla mancanza della seta per i paracadute.
Altra leggenda metropolitana narra invece che il suo inventore (Wallace Hume Carothers) nel 1937, anno della scoperta, diede a questo materiale il nome di Fiber 6,6, che non essendo né un nome originale, né accattivante, né degno di una tale scoperta, mise in moto le menti dei suoi collaboratori, che mettendo in fila i nomi delle proprie mogli (Nancy, Yvonne, Lonella Olivia, Nina), partorirono la parola Nylon.

Nome a parte, questa scoperta fu, ed è ancora tutt’oggi, così importante a livello mondiale, che permise sin da subito al suo inventore di avere una vita da nababbo per sé stesso e per i propri discendenti; basti pensare solo ad alcuni dei suoi utilizzi più comuni: calze in nylon per le donne, setole degli spazzolini da denti, chiusure in velcro nelle giacche, corde delle chitarre.
In particolare le calze in nylon ebbero una straordinaria diffusione negli anni ’50, e tutte le donne, anche le meno abbienti, volevano possederne un paio.
Successivamente ci fu il lancio della maglietta in cotone e nylon “easy care”, di facile manutenzione, asciugatura e anti-stropiccio, che gran complice ebbe in un giovane e sexy Marlon Brando, che la indossava aderente ed inserita nel suo jeans. Anche in quel caso, ovviamente, fu un boom di vendite.

Il Nylon e la moda? Un nome su tutti: Miuccia Prada, che negli anni 80 con i suoi zainetti in black Nylon raggiunge un successo smisurato, facendo di questo materiale il patrimonio genetico della sua casa di moda.
Infatti proprio in uno di questi scatti vediamo come anche nelle collezioni attuali della Spring/Summer ’18, proprio Prada, così come molti altri nomi illustri presenti nella gallery, proponga il nylon come espressione di eleganza contemporanea, stampato e non, in varie colorazioni e forme, pratico e allo stesso tempo sofisticato, con tagli sportivi accompagnati da zip, tasche, cappucci e coulisse, ma anche moderno e pulito, aperto a moltissime interpretazioni stilistiche.

Nello scatto realizzato per The Men Issue da Federico Miletto, il completo composto da felpa con coulisse e cappuccio, pantalone e cappellino bucket (Spring/Summer 17/18 ZZegna) realizzato in nylon leggero giallo acceso e grigio si presenta nel classico mood sportivo, abbinato a delle sneakers; mentre come sempre, lo scatto street style, a fianco, ci propone invece un modo di  indossarlo urbano e cool. Giovanni de Ruvo

Lanvin, s/s 2018

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D COME DOWN JACKET

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A sinistra, scatto di Federico Miletto per The Men Issue, Styling Giovanni de Ruvo. A destra, scatto di streetstyle (fonte: http://lionsandwardrobes.wordpress.com/)

L’alfabeto della Moda oggi chiama in causa la lettera D, per Down Jacket, in italiano piumino.

Le idee geniali, specie in ambito creativo, possono scaturire spesso dal manifestarsi di un reale bisogno, o addirittura da una tragedia scampata, che si traduce in ispirazione. In questo caso siamo nel 1935 in Alaska, durante una battuta di pesca finita quasi con l’ipotermia di Eddie Bauer, che, dopo averci quasi lasciato la pelle, capisce e decide che per determinate temperature rigide, non era più sufficiente la lana, ma ci voleva una giacca imbottita ed allo stesso tempo leggera; quindi, pensando alle giacche delle Armate Russe, ideò un capospalla caldo ed impermeabile, imbottito in piuma d’oca, con delle cuciture a forma di rombo, capaci di tenere ferma ed aderente al corpo l’imbottitura.

Brevettato nel 1940, arriva al successo nel ’42, con il “B-9”, giacca per l’Aeronautica militare USA, capace di tenere al caldo con una temperatura di -56°C.
In seguito arriva Moncler, che fonda nel ’52 la sua azienda, dapprima producendo tende foderate, sacchi a pelo ed un unico modello di mantella con cappuccio: mantella che negli anni si trasforma, diventando il core business dell’azienda, e con il tempo un pezzo iconico ed intramontabile.
I Paninari, negli anni ’80, fanno del piumino il loro tratto distintivo, insieme alle felpe della Best Company ed ai boots di Timberland, sfoggiandone di tutti i tipi, in nylon lucido, oversize ed in colori accesi.
Il piumino in quegli anni, non è più visto come un capo puramente tecnico con cui scalare vette, o sciare, ma diventa quindi un simbolo, riconoscibile e classificabile, di un preciso gruppo di appartenenza e di stile.
Chiunque ricorda i film “cinepanettone” degli anni ’90, dove Jerry Calà, Ezio Greggio, Christian de Sica e Massimo Boldi sfoggiavano nei vari “Vacanze di Natale” piumini gonfi, colorati e con abbinamenti di dubbio gusto, durante le loro avverture/disavventure in montagna.

Oggi possiamo dire che la moda ha declinato il piumino in talmente tante forme, pesi, tipologie di materiali e colori, che son ben lontani quegli anni in cui da piccoli ci si sentiva vestiti da “omino Michelin”, goffi e brutti, costretti, perché la mamma ti diceva che c’era freddo, ad andare in giro conciati in quel modo, di cui ti vergognavi tantissimo.
Dallo sport, al cinema, alle passerelle, il passo è stato breve, ed il piumino è diventato un capo moda degno di essere inserito nell’armadio accanto ad altri colleghi ben più illustri e sartoriali, come il cappotto e la giacca, propostoci oggi anche da brand di nicchia, come Comme des Garçons, Rick Owens, Raf Simons e Balenciaga.

Proprio con Balenciaga ed anche con il suo brand Vetements, il nuovo, giovane direttore creativo, Demna Gvasalia, impone attraverso le sue sfilate l’uso del piumino, in colori sgargianti, quasi inabbinabili, ingombrante e destrutturato, da indossare sia durante l’inverno che addirittura in primavera/estate; anche grazie a lui, per i fashion victims, mai come oggi, il piumino è diventato un pezzo immancabile e caratterizzante di un look cool ed avanguardista.

Nello scatto realizzato per The Men Issue da Federico Miletto, il piumino (Fall/Winter 17/18 Moncler) realizzato in nylon lucido nero con maxi tasche, è abbinato ad una tuta in cotone con cappuccio e berretto in lana, nel classico mood sportivo; come sempre, lo scatto street style, a fianco, ci propone invece un modo di  indossarlo si casual, ma urbano e cool. Nella gallery a seguire, invece, vi offriamo una serie di scatti tratti da sfilate fall/winter 17/18 – con  qualche anticipazione della spring/summer 18 – dei maggiori designer, che propongono piumini smanicati, stampati, corti, lunghi e con maxi cappucci. Giovanni de Ruvo

Balenciaga, fw17/18

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C COME COAT

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A sinistra, scatto di Federico Miletto per The Men Issue, Styling Giovanni de Ruvo. A destra, scatto di streetstyle (fonte: http://blog.trashness.com/)

L’alfabeto della moda oggi chiama in causa la lettera C: Coat, in italiano Cappotto.

Capo di derivazione contadina o militare, il cappotto è andato col tempo a sostituire i mantelli e le pellicce dell’antichità, diventando non solo un alleato indispensabile contro il freddo invernale, ma soprattutto un simbolo di appartenenza ad un determinato ceto sociale.
Infatti, ricordo che, passeggiando da bambino per le vie del corso della città con i miei genitori, specialmente durante le domeniche invernali o durante le festività natalizie, vedevo famiglie intere passeggiare, imbellettate, con capelli e barbe perfette, scarpe lucide e spazzolate, dove il capo famiglia primeggiava su tutti per le fattezze e l’importanza statuaria del proprio cappotto. Spalle larghe, materiale spesso, dalla caduta verso il basso rigida e impeccabile, quasi regale: il passeggiare si trasformava in una gara a chi, fra tutti gli uomini, avesse il capospalla più bello; un pavoneggiarsi, dove il premio finale, ai miei occhi, era quello di far parte della famiglia più benestante ed importante della città.

Anche nei film il cappotto era portato dall’attore più bello, dal protagonista, seguito puntualmente dal suo sottoposto, o maggiordomo, che in chiaro atto di servilismo lo aiutava ad indossarlo prima di uscire.
Esempio lampante della sua importanza simbolica lo abbiamo nel film Il Cappotto, tratto dal racconto di Nikolaj Gogol, ed interpretato da Renato Rascel, dove si percepisce quanto questo capo di abbigliamento sia l’oggetto del desiderio di un impiegato comunale che deve ottenerlo a tutti i costi, per sentirsi parte integrante di una società che altrimenti non lo considera.

In commercio lo si trova realizzato in panno di lana, in cachemire, monopetto o doppiopetto, di varie lunghezze, con la manica Raglan e con spalmature che lo rendono impermeabile; ne esistono davvero in svariati modelli e materiali. Un fedele alleato ed un pezzo immancabile nell’armadio di un uomo, ed ormai non più solo per i mesi freddi.
La moda, oggi, lo ha sdrammatizzato, dandone una nuova visione: accanto al cappotto formale, “divisa”, insieme all’abito sartoriale, dell’uomo di potere, è passato ad essere capo modaiolo, creato in varie fogge e colori, sfoderato, stampato, abbinato a felpe con cappuccio, e sovrapposto a giubbotti in denim, per la stagione invernale, tanto come per quella primaverile ed estiva.
Nello scatto realizzato per The Men Issue da Federico Miletto, il cappotto (Fall/Winter 17/18, Paltò), realizzato in panno di lana spigata con manica raglan, è abbinato ad una camicia indossata su un dolcevita e a dei pantaloni, tutti sulla scala cromatica dei grigi, con dei boots in pelle, per un’allure modaiola ma sempre classicheggiante; in quello a fianco invece abbiamo uno scatto di street style, che ci offre un’idea di come un cappotto simile possa essere indossato, in modo più libero e casual, nella vita “reale”. Nella gallery, invece, vi offriamo una carrellata di uscite di sfilata della stagione f/w 17/18 – con alcune anticipazioni dalla prossima s/s – per avere uno spaccato sulla visione dei maggiori designer. Giovanni de Ruvo

Prada, preview ss18

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L COME LEATHER

SITO ALE NOVEMBREScatto di Federico Miletto per The Men Issue, Styling di Giovanni de Ruvo.

Abiti Bottega Veneta

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A sin., street style dalla New York Fashion Week; a ds. Gucci f/w 2017

L’alfabeto della moda oggi chiama in causa la lettera L: Leather, in italiano Pelle.

Chi di noi non ha, o non ha mai avuto, un capo in pelle nel proprio armadio?

Negli anni 50 simbolo di ribellione giovanile e della cultura Rock’n’Roll, basti pensare a John Travolta in “Grease”, o a Marlon Brando ne “Il Selvaggio”, o a Steve McQueen ne “La Grande Fuga”: tutti personaggi amanti di uno stile deciso diventato iconico, che ha portato la giacca in pelle ad essere, oggi, un capo irrinunciabile ed evergreen.

In tutti questi casi si tratta di giubbotti in pelle corti, come l’intramontabile A-2 dei piloti della U.S.A.F., o lo Schott Perfecto, che ha segnato radicalmente lo stile biker; dei grandi classici, da vero duro.

Tutto cambia, però, se la giacca si allunga, quasi a diventare un moderno mantello: una scelta forse più coraggiosa; un capo più coprente, si, ma che allo stesso tempo ti punta quasi un occhio di bue addosso, diventato un must have nel panorama musicale Dark, New Wave e nella moda Gotica.

Quindi si passa dalla ribellione degli anni 50, attraverso la ricchezza policroma dei 60, con le frange di Jimi Hendrix, fino alla semplificazione sintetica del cappotto lungo in pelle, che ritroviamo come divisa d’elezione in gruppi come i Velvet Underground e nei Joy Division. Divisa adottata anche nel cinema per identificare dei veri e propri dark man, come Brandon Lee ne “Il Corvo” e Keanu Reeves in “Matrix”.

Nella moda, in tutte le loro varianti, sono da sempre presenti, basti pensare a Vivienne Westwood con il Punk style, e ancora a Yves Saint Laurent, che ebbe per primo l’idea di creare un intera collezione in pelle, seguito poi da Dior, Versace e Gucci.

Proprio dalla f/w attuale di Gucci vi proponiamo una rivisitazione in chiave romantica (e no gender) del cappotto in pelle; nello scatto a fianco invece abbiamo un esempio più “realistico” di styling catturato  durante una fashion week a New York. Nello scatto realizzato per The Men Issue da Federico Miletto, mostriamo come il cappotto in pelle possa accompagnare un look da sera, con tanto di papillon in velluto e camicia in lurex (total f/w 17/18 Bottega Veneta). Giovanni de Ruvo

 
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