streetstyle

STYLE MAGAZINE JULY/AUGUST 2019 – SHANGHAI STREETSTYLE

Shanghai Streetstyle

V COME VELLUTO

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A sinistra, scatto di Federico Miletto per The Men Issue, Styling Giovanni de Ruvo. A destra, Stefano Tonchi in uno scatto di streetstyle (fonte: Adversus)

L’alfabeto della moda oggi chiama in causa la lettera V, per velluto.
Esistono diverse tipologie di velluti, ottenute attraverso varie lavorazioni: da quello dévoré, al velluto a coste, al froissé dall’aspetto sgualcito, fino ai velluti elasticizzati e quelli utilizzati per l’abbigliamento sportivo. Il velluto liscio, però, rispetto agli altri, nella sua semplicità e tatto fluido è da sempre simbolo di classe, riveste e cela ogni cosa, vantando un’innata bellezza, unita a eleganza e mistero.

La sua origine probabilmente risale al XIII secolo circa in Oriente, diventando poi celebre anche in Europa grazie alla lavorazione dei maestri Palermitani e Veneziani. Apprezzato dalle classi nobili, quello che andava per la maggiore era decorato: con disegni gotici, fiori stilizzati, oppure con ricami di alberi, uccelli, in modo da ricordare i velluti orientali. Con il Rinascimento diventa ancor più simbolo di opulenza, sfoggiato nell’abbigliamento e negli arredi delle dimore aristocratiche.

Il velluto accarezza i nostri sensi, una caratteristica che ha acquisito molteplici sfaccettature nel tempo. Usata per definire una voce calda, o il tocco morbido di una rosa, una tenera carezza, fino al potere, al lusso estremo, al mistero e all’erotismo, la parola velluto, infatti, compare in diversi testi di canzoni, o titoli di film e romanzi, assumendo molto spesso significati contrastanti.

Nel gruppo musicale rock new wave dei Velvet Underground, così come nella omonima novella pornografica dove si descrive la sfera sessuale underground americana dei primi anni 70, il velluto prende forma e potenza, adattandosi esattamente ai testi e alla poetica del gruppo musicale.
In Blue Velvet, film del 1986 di David Lynch, questa parola ci fa addentrare in una sfera noir, avvolgente e fatta di perdizione e voyeurismo.
In assoluta contrapposizione, nell’espressione Rivoluzione di Velluto, manifestazione pacifica del 1989, il termine viene utilizzato con un’accezione di delicatezza, una richiesta gentile e non violenta che riesce a rovesciare il regime Comunista Cecoslovacco.

Anche nella moda il velluto, in base ai suoi utilizzi, colori e fattezze cambia di significato: nei toni del rosso o comunque in colori scuri è autorevole, elegante e raffinato, se indossato in toni neutri o pastello diventa piu aggraziato e dolce, nei marroni e toni delle terre ha un sapore vintage e casual.
Nelle collezioni attuali autunno/inverno, così come potete vedere nella gallery che vi proponiamo, i designer rappresentano il velluto in varie forme e colori, da Dries Van Noten con il suo bomber blu con ricami floreali, a Emporio Armani che taglia in due parti esatte la giacca con un effetto patchwork, a Gucci che propone una vestaglia da camera verde acceso con passamanerie ed alamari in perfetto stile orientale.
Nello scatto realizzato da Federico Miletto per The Men Issue, il modello indossa una giacca dal taglio classico in velluto rosso della fall winter 18 di Golden Goose Deluxe Brand, con camicia e cravatta, rendendolo attuale e anticonformista con l’utilizzo di un pantalone in pelle ampio e boots. Nello scatto di street style, invece, vediamo l’Editor in chief di W Magazine, Stefano Tonchi, indossare un total look in velluto liscio con camicia, pochette nel taschino, maglia jacquard e penny loafer nei toni del marrone, tutto dal sapore un po retrò. Giovanni de Ruvo

Gucci, f/w 2018/19

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N COME NEON

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A sinistra, scatto di Federico Miletto per The Men Issue, Styling Giovanni de Ruvo. A destra, Virgil Abloh in uno scatto di streetstyle (fonte: GettyImages)

L’alfabeto della moda oggi chiama in causa la lettera N, per Neon.

Fu il fisico e chimico Georges Claude nel 1910 a presentare, al Grand Palais di Parigi, il primo tubo fluorescente a neon. Ci vollero però altri due anni perché nella stessa città apparisse la prima insegna luminosa al neon, sopra ad un piccolo negozio di barbiere. Da quel momento in poi questo tipo di illuminazione, associata ai suoi tipici e peculiari colori sgargianti, cambiò, totalmente e per sempre, l’aspetto delle città in tutto il globo, catturando gradualmente con le sue potenzialità l’attenzione di commercianti, artisti e pubblicitari, e col tempo anche del mondo della moda.

Per transizione, sono detti colori al neon quelli che conservano la stessa elettricità e vivacità dei tubi a fluorescenza; a differenza degli altri, la nostra percezione cambia, perché più stimolata: percepiamo prima il colore e poi la forma, non viceversa. Il colore è uno degli aspetti piu attraenti di ciò che vediamo; in particolar modo se vivido,
è determinante, di carattere, e se indossato diventa quasi suadente.

Artisti come Dan Flavin, Lucio Fontana, Stephen Antonakos e molti altri capirono in epoche differenti l’importanza del tubo (e della luce) al neon come potente mezzo di comunicazione, ed il fascino che lo stesso è in grado di suscitare nell’osservatore. Nel cinema, i colori a neon sono spesso comparsi in film futuristici come Matrix o Blade Runner, utilizzati per gli abiti o per le location cyber dell’era digitale.

Nella moda attuale, queste colorazioni luminose hanno iniziato a fare capolino da alcune stagioni, raggiungendo il culmine fino ad esplodere completamente nelle ultime collezioni, sia femminili che maschili. Prendono spunto dagli anni 80 e 90, dai rave psichedelici, dai “viaggi” da LSD, dalle ambientazioni dei party con musica Goa trance dove i colori neon facevano da padrone su tutto, dagli abiti, al make up, alle location, alle luci. Contrariamente a quello che si potrebbe pensare, è un tipo di trend che ha subito varie e diverse interpretazioni:
minimal, se utilizzato come unico pezzo, indossato magari sotto un abito scuro essenziale e rigoroso; acido, se associato a nylon, sport, con eventuali aggiunte di zip e stampe; divertente e sofisticato, se il capo in questione è realizzato in tulle o in seta.

Ce ne si accorge esaminando le ultime fatiche dei più grandi designer, di caso in caso. Prada su tutti esalta il fluo, spesso abbinato al nylon, nelle ultime collezioni sia femminili che maschili, nella sua Prada Linea Rossa; potete trovarne un esempio nella gallery delle collezioni fall/winter 18, insieme a: Comme des Garçons shirt, che ci propone la classica camicia indossata su un pantalone nero, ma in versione giallo fluo; Calvin Klein 205W39NYC, con la sua divisa da pompiere con tanto di dettagli catarifrangenti e stivali in pvc; Hermés, che ce lo mostra in veste elegante sotto un giubbotto in pelle, e Louis Vuitton, che ne fa una combo borsa in pelle/dolcevita destrutturato.

Nello scatto realizzato per The Men Issue da Federico Miletto, il modello indossa un piumino dal fit over arancio fluo abbinato ad una maglia stampata, entrambi della f/w 18/19 Versace, per un’attitude sportiva che non vuole passare inosservata; nello scatto di street style, vediamo il fashion designer Virgil Abloh indossare una sorta di gilet destrutturato arancio fluo con zip sul fianco, portato su una T-Shirt stampata. Solo per chi vuole davvero osare. Giovanni de Ruvo

Burberry, fall-winter 18/19

The physicist and chemist Georges Claude presented, in 1910, … Continua a leggere →

P COME PIED DE POULE

SITO ALE (1) Ermanno ScervinoSTREET STYLE

A sinistra, scatto di Federico Miletto per The Men Issue, Styling Giovanni de Ruvo. A destra, scatto di streetstyle (fonte: style.corriere.it)

L’alfabeto della moda oggi chiama in causa la lettera P, per Pied de Poule.

Un grande classico le cui origini risalgono alla Scozia del XIX secolo: i pastori utilizzavano un tessuto realizzato con dei fili di lana intrecciati in modo da creare questa fantasia, che ricorda la zampa di una gallina (da qui il nome) per ripararsi dal freddo. Inevitabilmente è un pattern che cattura l’attenzione per la sua particolare resa cromatica, e dopo diverso tempo viene adottato anche dalle classi più agiate; perfino nell’arte, in diversi quadri impressionisti, possiamo scorgere elementi con trama a pied de poule nelle vesti.
Nei primi anni ‘50, Monsieur Dior utilizza questa fantasia per creare il packaging del suo profumo Miss Dior, consacrando “la zampa di gallina” come simbolo di eleganza e classe. Successivamente, oltre che nella moda, riscontra grande successo anche nel design: diviene uno dei rivestimenti iconici della storica “Egg Chair” di Arne Jacobsen; negli anni ‘60 entra a far parte dei must-have tra le stampe optical, diventando grande fonte d’ispirazione sia per la moda che per la musica: tanti, da Capucci a Charles Jourdan, creano abiti ed accessori con questa texture, molto spesso in versione total look, mescolandola in formato macro e micro.
Nel 1966 un giovane Bob Dylan, in una sua performance live in Danimarca, sfoggia sul palco un completo in macro Pied de Poule. Nei primi anni 2000 Salvatore Ferragamo e Alexander McQueen sono tra i maggiori utilizzatori nelle loro collezioni di questa texture, sia creando abiti stampati all over, che borse, scarpe e tutti gli accessori di complemento.

Nello scatto realizzato per The Men Issue da Federico Miletto, il modello indossa una giacca sartoriale dell’attuale collezione fall/winter Ermanno Scervino, abbinata ad un dolcevita in lana ed un pantalone classico con inserti ai lati di un piping che conferisce al look un tocco più casual ed attuale.
Nello scatto di streetstyle (da Style.corriere.it) il cappotto stampa micro Pied de Poule è indossato su un look multistrato, conseguenza forse anche del clima circostante, formato da un bomber e da una camicia in flanella a quadri portati su una polo bianca e un denim, in una combinazione e mescolanza di stampe e stili diversi, il country che incontra la borghesia.
Nelle sfilate attuali i designer propongono il Pied de Poule in molteplici varianti, come potete vedere nella gallery a seguire: Antonio Marras ne fa un inserto nelle sue felpe, Michael Kors lo esalta nella pelletteria e negli accessori, così come fa Joseph Abboud nelle sue cravatte, mentre Tommy Hilfiger crea un intarsio in un patchwork di maglieria.
La tendenza maggiore è comunque la microstampa, affiancata ad un grande risalto dato ai tagli dei capi: revers a nodo destrutturato per Raf Simons, la giacca mantella da Gucci, fino al bomber sporty con patch di MSGM. Giovanni de Ruvo

Raf Simons, f/w 2018/19

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J COME JACQUARD

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A sinistra, scatto di Federico Miletto per The Men Issue, Styling Giovanni de Ruvo. A destra, scatto di streetstyle (fonte: lookastic.it).

L’alfabeto della Moda oggi chiama in causa la lettera J, per Jacquard.

Probabilmente con un po’ più di fortuna, oggi questa tecnica avrebbe avuto un nome italiano, magari “Il Calabrese”.
Certo, suona strano, ma come tutte le cose, con la forza dell’abitudine, ci sarebbe poi parso come la normalità.
Oggi, sia in Italia che nel resto del mondo, questa tecnica è conosciuta con il nome del suo inventore Francese, Il Signor Joseph Marie Jacquard, forse complice il fatto che, tra il 1804 ed il 1806, le tecniche e le conoscenze nel settore furono forse decisamente più avanzate, rispetto al xv secolo.

Da Italiano sarò di parte, ma è importante spiegare come sono andate le cose, ne consegue quindi una breve spiegazione.

Il primo e vero prototipo del telaio Jacquard fu realizzato nella seconda metà del secolo xv da un tessitore Catanese, conosciuto a Lione come “Jean le Calabrais”, ossia Giovanni il Calabrese, che, ospitato da Luigi XI, introdusse questa nuova tipologia di telaio in grado di lavorare i filati più velocemente ed in modo più preciso; avrebbe portato quindi si una miglioria alla manifattura tessile di Lione, ma allo stesso tempo, forse, ad una maggiore disoccupazione nel settore. Fu fortemente ostacolato quindi dal resto dei tessitori, che non ne favorirono la diffusione.
Anni dopo, il già citato signor Jacquard migliorò la tecnica, riuscendo a creare un sistema in grado di eseguire disegni molto complessi, tramite un telaio ed un macchinario che, con l’ausilio di una scheda perforata, movimentava in maniera automatica i singoli fili di ordito.

Ma torniamo al jacquard in quanto tessuto…
Nella moda, questo tipo di lavorazione ha trovato terreno fertile grazie alle sue molteplici sfaccettature e applicazioni.
Chi ne ha fatto davvero il proprio segno distintivo è Missoni, brand che ha saputo sviluppare in mille varianti, forme e colori questa maglia, adottandola come simbolo e dandole un carattere riconoscibile in tutto il mondo.
Ma da Elsa Schiaparelli con la sua maglieria femminile eccentrica e couture, a Dolce & Gabbana, ad Alexander McQueen che amò fortemente questa tecnica, a Vivienne Westwood fino a Pringle of Scotland, tutti quanti si sono cimentati e si cimentano tutt’ora nell’utilizzo di questa maglia.

Nello scatto realizzato per The Men Issue da Federico Miletto, il modello indossa un cardigan oversize in maglia jaquard in cashmere della collezione fall/winter 18 di Alanui, portato con un look comodo, dall’attitude etnica, cool e un po’ sciancrata.
Nello scatto di streetstyle (da lookastic.it) che troviamo a fianco, il cardigan verde bosco con motivi geometrici, viene portato su una camicia bianca classica ed un chino, con un paio di aviator per un look casual e da città.
Nelle sfilate attuali, i designer, come potete vedere nella gallery che raccoglie alcuni look dalle collezioni del prossimo autunno/inverno, propongono questa lavorazione in svariati modi, dalla vestaglia di Etro super colorata ed etnica, alla maglia di Calvin Klein con ricamo cartoon, fino al cappotto di Alexander McQueen completamente lavorato con jacquard floreale. Giovanni de Ruvo

Dries Van Noten fw18/19

The Fashion Alphabet today is about J, for Jacquard. Probably … Continua a leggere →