esistenzialismo in progress

ESISTENZIALISMO IN PROGRESS

Non si tratta semplicemente di un dolcevita nero. L’esistenzialismo, a cui la moda Uomo di queste stagioni pare volersi richiamare, non è solo una questione di look, è molto di più: rimanda a quel grande fenomeno culturale che fu un momento decisivo nel mutamento degli orizzonti spirituali per il mondo intero e per quello Occidentale in special modo. A partire dalla fine della Seconda Guerra Mondiale, dal momento della Ricostruzione materiale e civica dell’Europa, finalmente i giovani hanno voce in capitolo, quantomeno nelle metropoli europee, a Parigi in primo luogo, ma anche nelle grandi città tedesche ancora in macerie. Anche perché la generazione precedente è stata decimata dal conflitto e si ritrova disorientata. Passa la staffetta a chi ha vissuto la catastrofe da bambino e prova un desiderio forte di aria nuova, un bisogno incontenibile di cambiamento radicale nel modo di concepire la vita.

L’Esistenzialismo vanta padri nobili. Sul piano della filosofia, della letteratura, della musica, del teatro, del cinema. Ed antenati non meno illustri. Tra i primi: Jean Paul Sartre e Karl Jaspers, Albert Camus, Juliette Greco e Jacques Brel, Eugene Ionesco, Ingmar Bergman. Tra i secondi: la Scapigliatura milanese e i “poètes maudits” francesi di fine ‘800. Può essere interessante anche il parallelismo, quantomeno in termini di aspirazioni, con la “beat generation” americana, da Kerouac a Ginsberg. Stesso, prorompente anelito di libertà, di rottura, di anticonformismo, di ribellione, di trasgressione. Un parallelismo che però non è totale: gli Esistenzialisti vivono tutto ciò in modo più…estenuato, smaliziato, malinconico, carico di  maggiore “ennui”. In una parola, in  modo più europeo. Manca la sintonia anche in fatto di stile. I “giovani ribelli” d’Oltreoceano si accontentano di tagliarsi un po’ meno spesso i capelli, abbondano nell’uso di camicie a scacchi da rodeo del Mid West, di jeans più che sdruciti, di giacche di velluto informi, vagando per il Paese su enormi automobili malconce.

Europei d.o.c., gli Esistenzialisti sanno invece elaborare un proprio lessico vestimentale. Nelle “caves” parigine, valgono codici estetici ben precisi. Sono inediti, ma ci sono. E sono imperativi. In alternativa alla camicia vengono sdoganati i pullover portati a pelle: dolcevita o meno, neri o meno, anche se questo non-colore prende piede e si svincola dall’uso esclusivo per la sera, la cerimonia e il lutto. Così come vengono sdoganati il montgomery o il raincoat più corto e più facile rispetto al trench tradizionale. Le ragazze possono finalmente indossare i pantaloni anche in città, non solo sulle piste da sci. Le giacche possono essere “fitted” o “loose”, ma appaiono sempre un po’… pre-decontracté, per nulla “stiff”. Chi osa maggiormente adotta la tuta, quasi da cosmonauta sovietico, a testimonianza della volontà di guardare al futuro prossimo venturo. Certamente, gli Esistenzialisti  non resistono all’appeal dei jeans e dei blouson che arrivano dagli States, ma li integrano con cura nel proprio lessico. In parallelo, si impone lo scooter che diventa il mezzo di trasporto giovane per antonomasia in un continente intero. In barba ai macchinoni “made in USA”.

Giungendo al presente, è facile notare come l’essenzialità di sapore esistenzialista di molte collezioni Uomo risulti felicemente compenetrata dall’hi-tech. Perché essenzialità vuol dire anche comfort e vestibilità più agevole, garantiti dalle nuove elaborazioni materiche, dall’ottimizzazione delle textures nella loro resa, nelle loro performance e nelle loro possibilità di impiego. In sintesi: ora nel menswear l’esistenzialismo si coniuga senza stridori con una sorta di …futurismo. Del resto, la moda da sempre pensa in progress e vive di commistioni, per questo gli “ismi” convivono pacificamente. Facendo della moda stessa qualcosa di davvero unico, costantemente in divenire. Giorgio Re

 

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