bad bad boys

BAD, BAD BOYS

Harrison Ford, il buono di “Blade Runner”, deve vestirsi come i cattivi per avere la meglio; idem come sopra per Tom Cruise nella saga di “Mission Impossible”. L’eccezione che, come sappiamo, “conferma la regola” è  Mads Mikkelsen/Le Chiffre in “Casino Royale”. E’ impeccabile e sofisticato nello stile tanto quanto Daniel Craig, ma Le Chiffre cattivo è e cattivo resta. E’ innegabile che il fascino – un po’ stereotipato ma sempre in auge – del pensiero “gli uomini che mascalzoni” susciti più di un palpito nei cuori femminili e maschili (di quei maschi a cui piacciono i maschi, s’intende):  da sempre e ovunque, la canaglia  piace.

La musica popolare spagnola, per esempio, rigurgita di “coplas” dedicate a fascinosi banditi che hanno i loro covi nelle Sierras – disseminandole di amanti e aspiranti tali – ed è pressoché scontato che i bandoleros a un certo punto vengano acciuffati e sbrigativamente spediti alla garrota, lasciando in lacrime torme di fanciulle. In sintesi: l’immaginario collettivo pullula di figure di riferimento “in negativo” con un loro appeal irresistibile benché fuorilegge. Lo stesso discorso vale per la moda Uomo dei nostri giorni, secondo variazioni sul tema ampiamente articolate nel segno della fluidità che permea oggi sia lo stile che l’approccio al vestire.

Nella costellazione “bad glam” riveste un ruolo primario l’eroe alla Matrix, techno-vestito, ovviamente in nero totale. I suoi look anticipano un futuro prossimo venturo delineato con abbondanti dosaggi di fantasia. Textures e conformazioni rendono possibile ogni performance: si possono affrontare ghiacci eterni, temperature degne dell’inferno di Dante, laser perforanti. Vengono sfidate persino la legge di gravità: Mission Impossible, appunto. Lontano mille miglia dal prototipo Matrix è il cattivo divenuto tale per malasorte più che per malvagità d’animo. Ha la giustizia contro, ma conosce il significato della parola sentimento e sa amare. E’ una figura in equilibrio tra il delinquente e il perseguitato. Anche per questo piace. E non si può non perdonare.

Nelle nostre contrade una volta si chiamava guappo o picciotto, ma in verità è una figura universale. Può venire dal Bronx, dal Mid West impoverito dalla Grande Depressione, dalla Parigi impietosa alla Jean Gabin, come dai bassifondi di Buenos Aires. A dire il vero il suo guardaroba è un po’ male in arnese, ossia si articola intorno al must della canotta che mette ben in evidenza muscoli imprescindibili ed eventuali tatuaggi. O meglio, spesso c’è solo la canotta che in genere è anche un po’ sdrucita. Ma tant’è: lui è comunque un’icona. Negli orizzonti nostrani il capostipite di questo cattivo dal cuore d’oro e dai tanti scrupoli è il bellissimo, tormentato Massimo Girotti di “Ossessione”, primo eroe neorealista, che finisce sulla cattiva strada per la perfidia della donna amata.

La galassia dei malvagi prevede anche i trasgressori, quelli che giocano volutamente con l’ambiguità, o quelli per cui il fisico prestante è oggetto da esibire. Dunque toraci nudi in abbondanza con immancabili collane, collanine e bracciali a corredo che danno vita ad una “fiera delle vanità” del Terzo Millennio, agli antipodi rispetto al romanzo di Thackeray dal titolo omonimo, richiamando, seppur con un ampio grado di disinvoltura, l’epopea degli hippy che andavano in India, in Nepal, in Afghanistan  a ritrovare se stessi.

Se invece il cattivo è ambiguo non può non guardare al mondo del rock, a Ziggy Stardust in primo luogo, e non può non luccicare di bagliori dorati o argentati. C’è anche il cattivo che sembra perbene? Domanda difficilissima, quasi senza risposta. C’è forse il “non proprio cattivo” incredibilmente smaliziato che ostenta nonchalance e pare non curarsi delle mode, ma che, se ben osservato, rivela l’ossessione per il particolare che rende il capo tutt’altro che scontato. Ed insieme al capo chi lo indossa. Altra versione de “La fiera delle vanità” edizione 2014. Giorgio Re

 

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