Archivio di febbraio, 2014

L’ALTRA MODA UOMO: RIO DE JANEIRO, BERLINO E COPENHAGEN

di Paolo Armelli

Non solo Londra, Milano, Parigi e New York: la Moda raggiunge anche altre città. E anche se è solo nelle capitali del fashion business che la moda uomo ha delle fashion week dedicate, il menswear si ritaglia alcuni spazi anche nelle altre settimane della moda internazionale, crescendo sempre più in volume d’affari e ricerca estetica. Il fatto di non essere inseriti nel gotha più quotato ha i suoi vantaggi, in quanto permette a questi eventi una maggiore sperimentazione e un investimento più intenso sulle nuove leve del design. Abbiamo fatto un brevissimo tour per segnalare le mete più promettenti della moda maschile.

RIO DE JANEIRO

Complice la felice collocazione nell’altro emisfero, i brasiliani sono i primi a inaugurare l’anno della moda, proponendo le sfilate autunno/inverno già a cavallo fra ottobre e novembre. A fianco di San Paolo, l’altra capitale delle passerelle brasiliane, l’evento Fashion Rio anima la moda uomo proponendo soluzioni che coniugano il rilassato adattamento alla stagione calda con linee sperimentali e ricercate. La collezione per l’A/I 2014 presentata da R.Groove, il marchio del giovane designer Rique Gonçalves,  fonde una sofisticata ispirazione occidentale al mood disimpegnato del surf e del calore tropicale (in particolare nelle tinte azzurre e arancio), passando dal lino al neoprene. Di tutt’altra ispirazione l’uomo presentato dal brand ready-to-wear Ausländer, il quale dà vita a un’ambientazione più notturna e underground, con insistenze su materiali come la pelle e i tessuti tecnici, colori basici e fantasie psichedeliche, in un immaginario che va a pescare da Matrix e dalla Lady Gaga di Born This Way (in particolare negli innesti prostetici sui volti dei modelli). (Foto da Fashion Forward)

R. GROOVE

AUSLANDER

BERLINO

È risaputo ormai da anni che la capitale tedesca è anche il centro europeo della cultura underground e della sperimentazione giovanile. Allo stesso modo la Mercedes-Benz Berlin Fashion Week  (14/19 gennaio scorso) mostra come – anche nella moda – i tedeschi cerchino strade nuove, che esplorino l’avanguardia e l’innovazione contaminata; Berlino funge inoltre da catalizzatore di tutta quell’estetica che si muove fra Mitteleuropa ed Est europeo. Ne è un esempio lo stilista bulgaro Vladimir Karaleev, le cui collezioni, frutto di puro artigianato in cui ogni pezzo è unico, sono basate sulla decostruzione dei volumi, con tagli oversize e nette superfici di colori pastosi che vi danno un tocco quasi architettonico. Tedesco, invece, è il designer Kilian Kerner, che propone una serie di look che accostano tratti sartoriali (come i completi e i lunghi cappotti) ad elementi ricavati dallo sportswear, con fantasie e colori ricavati dalle immagini dei supereroi e dalle illustrazioni de Il piccolo principe di Saint-Exupèry. Infine da segnalare è lo svizzero Julian Zigerli, che ha sfilato in Germania dopo essere stato ospite dell’Armani Teatro a Milano proprio durante la nostra settimana della moda: il suo stile è al solito stravagante e ricercato, anche qui attingendo nettamente dal guardaroba sportivo ma impreziosendo i capi con un motivo tridimensionale a forma di esagono. (Foto da The Gentleman)

VLADIMIR KARALEEV

KILIAN KERNER

JULIAN ZIGERLI

COPENHAGEN

La moda scandinava non è, contrariamente a quanto si potrebbe pensare, tutta maglioni pesanti e cappotti di renna. Anzi, le collezioni che hanno sfilato dal 28 gennaio al 2 febbraio durante la scorsa settimana della moda di Copenhagen hanno dimostrato la poliedricità e l’estrema inventiva di una nazione da sempre attentissima alle più avanzate frontiere del design. Anche se i modelli maschili su queste passerelle erano pochissimi, per lo più immersi fra gli outfit delle collezioni femminili, anche per il menswear si sono viste soluzioni degne di nota: come quelle proposte dalla stilista della Groenlandia Bibi Chemnitz, che sfila uno stile cupo e rigido come la sua terra, in cui i colori primari della natura si mixano a forme e tagli molto più urbani. Le proposte di Henrik Vibskov, designer che sfila, unico fra gli scandinavi, anche a Parigi, sono invece reminiscenze dei costumi tradizionali, rese estremamente contemporanee da maglie, copricapi e calzature dall’aspetto futuristico; in generale domina un’estremizzazione delle texture, elaborate con fantasie psichedeliche/pop. (Foto da Copenhagen Fashion Week)

BIBI CHEMNITZ

HENRIK VIBSKOV

HARPER’S BAZAAR UOMO 1993

Il servizio si intitolava “70’s IN THE 90’s”. La moda anni settanta ritorna ciclicamente nelle tendenze, uomo e donna. Lo styling – volutamente semi-didascalico – era rinforzato da qualche pezzo vintage, come i jeans a zampa sul modello a destra e il cinturone. Il resto – compreso il cappello, gli occhiali e i bijoux – era tutto di Dolce & Gabbana. Foto Judson Baker.

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SCHEMA LIBERO AI PIEDI DI UN UOMO

At a man’s feet. It is said that a man’s elegance stays also (and especially) in the shoes he wears. A pair of shoes can be fashionable, classic or sporty, depending on the kind of man that wears it and, for every variety of shoes, there are rules to be respected in terms of elegance. Style has nothing to do with beauty and quality of an accessory: when style is absent, the accessory itself loose its identity. The wider is the offer, the higher is the chance to get wrong. The crocodile – for example – has to be “impoverished” by a minimal look; the chelsea-boot mustn’t be worn with wide-bottomed trousers; bicolor shoes has to be worn with caution and, in case of bright colours’ matches, it’s good to bear in mind that they’re “dedicated” to trendy under 30. Age has its weight talking about sneakers too: if you are over 30 but you wear them because they’re comfortable, do it just in the spare time. In doubt, it’s better to choose classic: a brogue in calf leather, but never in black before 6 pm.

 

SETTE MAGAZINE EN VOGUE ORA SIAMO NELL’EPOCA DI “TU VUO’ FA L’ITALIANO”

This is the time of “You Wanna Be Italiano”. Forget the american dream, the dream is totally italian. This is the opinion of the eminent Michael Hainey, Deputy Editor of Gq Usa (below in a portrait by Ewan Sung for Style). “The majority of Italians still appreciates elegance. In America, for a long time, there has been a sort of “death” of clothing; today, a dressing culture is back, especially among young people. But the trend of “Casual friday”, which started around 15 years ago, has (wrongly) promoted the idea of a general carelessness in clothing”. So young americans are disposed to emulate italian style, leaving the “bad habit” of casual friday, appreciated by previous generations, behind them. Actually, and I’ve always affirmed it, sportswear sanctioned the end of elegance; when I see teenagers wearing a sweatshirt with the hood pulled down over the eyes they remind me of Elliot (actor Henry Thomas), E.T.’s friend: I imagine that the bicycle will suddenly start to fly. Tender, nice and funny. But not elegant. Hainey thinks that we are the best dressed in the world, he doesn’t talk about neither English nor French. “I like coming to Milano because here I met men that inspire me with their style: they have the proper self-confidence to mix classic with new, they know how to respect tradition revitalising it at the same time”. This is how americans see us: they watch us with a certain envy, they admire our aesthetic sense. But I don’t know if it would be enough to eliminate the syndrome of “You Wanna Be Americano”, but it’s a good starting point to forget some inferiority complexes that we’ve carried since 1945.

DAL CINEMA ALLA MODA. E VICEVERSA?

E’ senza dubbio intenso, ma forse non equamente biunivoco, il rapporto tra moda e cinema. Se è vero che quest’ultimo fornisce sin dalla sua nascita modelli di eleganza al maschile in grande profusione, non è altrettanto facile che la settima arte attinga con immediatezza al vestire della realtà per trasporlo poi con successo sotto i riflettori. Per una ragione ben precisa: sul set occorrono sempre costumi, non abiti, al di là di quella che può essere l’ambientazione storica del film. Costumi che si prestino a rendere un determinato effetto scenico, quasi mai intrinseco al capo “normale” di abbigliamento. Il discorso è generale e comporta le dovute, riuscitissime eccezioni, tra le quali è doveroso ricordare “Gli Intoccabili” di Brian de Palma, così come “A Single Man” di Tom Ford. Ma non dimentichiamo che si sta parlando dello straordinario talento di Giorgio Armani  e del designer texano.

In direzione opposta, il principio appare totalmente differente. Ferme restando alcune imprescindibili figure di riferimento – Edoardo VII, il Duca di Windsor, John Fitzgerald Kennedy, Gianni Agnelli e pochi altri “grandi” – dall’inizio del ventesimo secolo il cinema costituisce il serbatoio più prolifico e certamente meglio scandagliato per quanto riguarda le icone dello stile Uomo del nostro tempo. Non va escluso il piccolo schermo: è sufficiente pensare a “Mad Men” oppure alla recentissima “Hannibal” con lo strepitoso Mads Mikkelsen, entrambe serie cult per i contenuti, indubbiamente, ma forse ancor più per l’immagine.

Ai look  dei protagonisti  del cosiddetto “sogno collettivo” si richiama l’abbigliamento maschile di oggi, quello che sfila in passerella esattamente come quello che si vede per le strade. Semplificando al massimo, si può ragionare per tipologie di personaggi, per “characters”, come direbbero gli Anglosassoni. Il dandy, per esempio, con tanto di sotto-filone dandy/canaglia: chi non ha mai sognato di far proprio l’aplomb di Cary Grant, David Niven, Dirk Bogarde, William Powell, James Stewart, Leslie Howard, Douglas Fairbanks Jr., Clark Gable, Rock Hudson? Per pochi nomi che si possono menzionare, centinaia di altri finiscono per essere omessi. Senza scordare le varianti “nazionali”: da Vittorio De Sica – perfetto anche nelle più che mediocri produzioni dell’epoca dei “telefoni bianchi” – a Carlos Gardel – impeccabile in gessato e Borsalino nelle “peliculas tangueras” degli anni ’30 e ’40. E chi non ha mai guardato al bel tenebroso? Humphrey Bogart in “Casablanca” o ne “Il Falcone Maltese”, Joseph Cotten ne “Il Terzo Uomo”, Robert Mitchum in “Marlowe”.

E così via, di genere in genere. Dai giovani ribelli – James Dean, Montgomery Clift, Jean Paul Belmondo, Laurent Terzieff, Horst Buchholz – agli “eroi del popolo” – Jean Gabin in “Alba Tragica”, Massimo Girotti in “Ossessione”, Henry Fonda in “Furore”. Dagli esotisismi di Rodolfo Valentino ne “Il Figlio dello Sceicco” o di Gary Cooper in “Marocco” al fascino dell’uniforme di Harvey Keitel e Keith Carradine ne “I Duellanti”, di Farley Granger in “Senso”, degli innumerevoli conti Vronskij nelle altrettanto innumerevoli versioni di “Anna Karenina”. Tanti filoni cinematografici e televisivi, altrettanti modelli di riferimento a cui ispirarsi. I romantici, idealisti, esistenzialisti di “Jules et Jim” di Truffaut. I guerrieri invitti come Charlton Heston in “Ben Hur”, Russell Crowe ne “Il Gladiatore”, Bekim Fehmiu nella “Odissea”, eccellente sceneggiato RAI del 1968. Vogliamo trascurare il mix caraibico, sempre più che appealing, di sole, colore, mare e vita turbolenta? Da Al Pacino in “Scarface” a Don Johnson in “Miami Vice”, quest’ultimo da ricordarsi più per l’avvenenza,  per le giacche a spalla squadrata con le maniche rimboccate e le camicie e/o T-shirt sgargianti che non per il talento interpretativo… Giorgio Re

From cinema to fashion. And vice-versa? The link between fashion and cinema … Continua a leggere →